Esco – Maggio 2020
Performance
Video (colore, suono), durata: 2’56”
Stampa Fine Art su carta acquerello Epson, 14,8 x 21 cm
Cerco di uscire
dalla vergogna nel sentirmi anche bambina.
Salto ripetutamente finché non sono esausta, cerco di raggiungere il cielo.
Certo, proverei imbarazzo nel dirlo ad un adulto, nel dirlo con voce a me stessa.
E’ una causa persa in partenza, so a priori del mio fallimento, ma sento che da qualche parte dentro di me è possibile.
Non posso uscire di casa, ma posso uscire dai miei muri, gioco.
In questo momento collettivo dove uscire dalle proprie abitazioni è limitato e pericoloso, mi chiedo da quale Casa m’impossibilitavo ad uscire prima.
Esco dal mio appartamento e mi reco nel punto più alto del mio condominio, un terrazzo comune dove inizio a giocare. Ripeto un unico gesto semplice e infantile, salto ripetutamente e cerco di toccare il cielo. Mantengo sempre lo sguardo rivolto verso l’alto e quando sento di non riuscirvi più mi siedo, riposo.
Pongo lo spazio domestico come spazio normativo protetto e di comfort, metafora di una condizione mentale che è luogo di rifugio e distacco dal Bambino a cui non vogliamo badare. D’altronde quale bimbo vuole giocare dentro casa?
Pongo le mura che circondano uno spazio abitato come metafora di rigidità mentali che influiscono nella piena libertà di movimento. Esco da un perimetro fisico ed emotivo, oltrepasso i margini del giudizio, supero il confine adulto-bambino: Considero la mia bambina.
I go out – May 2020
Performance
Video (colour, sound), duration: 2’56”
Fine Art Print on watercolour paper, 14,8 x 21 cm
I try to escape
from the shame of feeling like a child.
I repeatedly jump until I am exhausted, trying to reach the sky.
I would certainly feel embarrassed to tell an adult, or by saying it out loud at myself.
It’s a lost cause from the start; I already know I will fail, but somewhere inside me, I feel it might be possible.
I can’t go outside, but I can escape my inner walls: I play.
In this collective moment where going out of our homes has become limited and dangerous, I ask myself which House I truly prevented myself from leaving before.
I walk out of my flat and head to the highest spot of my building, a communal rooftop, where I start playing. I keep repeating a simple and childlike action: I jump over and over, always trying to reach the sky. I hold my look upwards until I get tired, then I sit and rest.
I set the domestic environment as a protected and regulated space of comfort, a metaphor for a mental state that is a place of refuge and detachment from the Child we don’t want to consider. After all, what child wants to play indoors?
I establish the walls surrounding an inhabited space as a metaphor for mental rigidity that affects full freedom of movement. I exit a physical and emotional perimeter; I cross the boundaries of judgment and surpass the adult-child border: I consider the little child that is in me.