A Vincenzo,
io mi arrendo

2020
Performance
Stampa Fine Art, 21 x 148,5 cm

Scrivo su carta con una matita tutto ciò di cui mi vergogno, che non ho mai rivelato e che ho faticato a confidare della mia esperienza circa il rapporto padre-figlia. Mi confido i miei segreti, li materializzo, rendo evidenti in una minuziosa descrizione di ciò che è stato per me motore e freno.
Al termine, con una gomma, tento di cancellare ogni segno, ma per quanto io ci provi, da limpido che era il foglio, comprendo non tornerà mai più al suo stato d’origine, ne rimane comunque impressa la traccia di un passato.
Mi chiedo dunque, a questo punto, che senso abbia lottare contro qualcosa che ormai è stato; temo che continuando a cancellare rischierei solo di creare altri segni, stropicciare ancora il foglio, danneggiarlo… nel tentativo di rimuovere un fatto scomodo ho sempre peggiorato la mia situazione.
Dichiaro a mio padre, Vincenzo¹, la mia resa.
Raccolgo i fogli e ne creo delle bandiere fissandoli a delle aste di bambù, rustiche e resistenti. Colloco queste bandiere bianche in tutti quei luoghi significativi che rimandano nella mia memoria alle situazioni descritte. Con questo gesto giungo alle radici del mio dolore e la pianto di volermi sradicare da qualcosa che mi determina. Accetto il seme.

¹ Vincenzo deriva dal nome latino Vincentius, che, tratto dall’aggettivo vincens (participio presente del verbo latino vincere), significa letteralmente “che vince”, “che conquista”, “vincente”.

To Vincenzo,
I surrender

2020
Performance
Fine Art Print, 21 x 148,5 cm

I write on paper with a pencil everything I am ashamed of, what I have never revealed, and what I have struggled to confide about my experience of the father-daughter relationship. I confide my secrets, I materialize them and make them clear in a meticulous description of what has been my drive and obstacle.
At the end, with an eraser, I attempt to remove every mark, but no matter how hard I try, I realise the paper will never return to its original clarity; a trace of the past remains imprinted.
At this point, I ask myself what sense there is in fighting against something that has already happened. I fear that continuing to erase I might risk to create other marks, by ruining the paper even more, damaging it… in the attempt to erase an uncomfortable fact, I have always worsened my situation.
I declare my surrender to my father, Vincenzo¹.
I gather the papers and make flags from them, fastening them to rustic, sturdy bamboo poles. I place those white flags in all the significant places that take me back to the situations I described. With this gesture, I reach the roots of my pain and stop trying² to uproot myself from something that defines me. I accept the seed.

¹ My father’s name, Vincenzo, comes from the Latin name Vincentius, derived from the adjective vincens (the present participle of the Latin verb vincere “to win”), meaning literally “he who wins”, “he who conquers”, “the winner”.
² In the original text, the word pianto is used, derived from the verb piantare, which in Italian means both “to stop” and “to plant”.